L’oro verde di Bronte: il pistacchio e il suo Expo

[vc_row][vc_column][vc_column_text]È giunta alla sua XXX edizione, la Sagra ancora una volta si presenta al suo pubblico con molteplici eventi che attireranno turisti da tutte le parti dell’isola. L’Expo del Pistacchio lascia spazio non solo ai palati e agli amanti del gusto, ma anche agli artisti che si incontreranno lungo Corso Umberto e nel centro storico della cittadina. Si è tenuta dal 27 al 29 settembre e dal 4 al 6 ottobre 2019!

[/vc_column_text][vc_single_image image=”22121″ img_size=”full”][vc_column_text]L’evento è diventato un vero circuito turistico del gusto, ma anche delle tradizioni e dell’arte. La città di Bronte offre, infatti, non solo l’oro verde che produce, ma anche numerosi monumenti storici che potranno essere visitati dai turisti che raggiungeranno la città nei giorni indicati.[/vc_column_text][vc_column_text]

Pistacchio, tra sacro e profano

Pianta di provenienza persiana, originaria del bacino del Mediterraneo, il pistacchio è citato già nell’Antico Testamento. Il nome sembra provenire da Psitacco, città della Siria, secondo la leggenda, i pistacchi erano uno degli alimenti preferiti dalla regina di Saba, la quale voleva che tutta la produzione delle sue terre venisse impiegata esclusivamente per soddisfare lei e la sua corte. Mentre nell’XI secolo il medico Avicenna parlando dei pistacchi sentenziava: «Usansi i pistacchi nei cibi e nelle bevande che si fanno per madonna Venere». E, infatti, il frutto divenne per secoli, assieme a mandorle e pinoli, ingrediente fondamentale dei cibi “restaurativi” per coloro che soffrivano di deperimento fisico e sessuale.[/vc_column_text][vc_single_image image=”22122″ img_size=”full”][vc_column_text]

Se il pistacchio di Bronte è chiamato ancora oggi “oro verde”, è oltre che per il colore smeraldo, per quelle caratteristiche organolettiche, derivate da un microclima irripetibile, che ne fanno un frutto d’alto pregio, eccellente per forma e sapore rispetto ai pistacchi provenienti da altri Paesi.

Perché solo negli anni dispari

Sull’Etna la raccolta avviene a settembre, preceduta da una leggera pioggia, che non manca in questo periodo e gonfia i frutti. Per prendere i pistacchi ci si deve arrampicare lungo mulattiere, sulla terra nera, tra i 400 e i 1000 metri di altezza. «Si raccolgono rigorosamente a mano – spiega Fabio Meli, agronomo – con sacche legate al collo, perché nessun mezzo meccanico può arrivare sulla sciara, la colata di lava vulcanica raffreddata, che costituisce un terreno durissimo e che solo le radici del pistacchio riescono a penetrare».

Si raccoglie ogni due anni. Solo così la pianta ha il tempo di assorbire dal terreno lavico tutte quelle sostanze nutritive che rilasciano al frutto poi il suo inconfondibile aroma e profumo. Sono circa 10mila le persone che si trasferiscono a Bronte nel momento della raccolta. «Una parte della produzione viene conservata in celle frigorifere a 13-14 gradi e lasciata in guscio in modo da conservarsi perfettamente anche per l’anno “pari” in cui non avviene la produzione. Dopo la raccolta il pistacchio deve essere asciugato al sole per un paio di giorni o, in caso di pioggia, in piccoli forni o in serra», spiega Francesco Paparo, coltivatore da generazioni.

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